In italiano si intitolava Vero come la finzione, l’originale suonava Stranger Than Fiction. Era un curioso film del 2006, spudoratamente metaletterario: un americano qualunque (Will Ferrell) scopre di essere in realtà il protagonista del romanzo al quale una grande scrittrice, nevrotica e autoreclusiva (Emma Thompson) lavora da tempo. Nel cast c’è anche Dustin Hoffman, nella parte del critico letterario che decifra l’enigma. Il suo personaggio, il professor Hilbert, è un narratologo specializzato in «se solo avesse saputo…», che è poi una delle tante maniere in cui il Narratore Onnisciente continua a fare capolino nella letteratura contemporanea.
Dal modernismo in poi, l’Onnisciente è l’ipoteca dalla quale gli autori hanno cercato di affrancarsi. Non si può più raccontare come nell’Ottocento, d’accordo. Ma come raccontare, allora? Da quale punto di vista? Chi sa che cosa, in un romanzo? E chi dà voce a colui che sa? Domande alle quali, secondo Henry James, aveva trovato una risposta convincente, anche se forse istintiva, il Joseph Conrad di Chance, il romanzo del 1913 finora noto in Italia come Destino (la traduzione era di Margherita Guidacci) e adesso riproposto da Adelphi con il più corretto Il caso. Il lettore ritrova Marlow, la voce monologante di Lord Jim e Cuore di tenebra, e qui più che mai si accorge che Marlow è quanto di più simile all’Onnisciente un narratore moderno possa permettersi. A prezzo di una notevole sospensione dell’incredulità (possibile che Marlow ricordi tutto, conversazioni comprese, parola per parola? possibile che riesca a parlare per tutte quelle ore di fila?), ma con un risultato affascinante, del quale ha fatto tesoro, fra gli altri, il Dürrenmatt della Promessa. Come il professore del film, potrei andare avanti per un bel po’. A seguire trovate la mia recensione al Caso, uscita su «Avvenire» sabato 25 maggio 2013.
A volte conviene arrendersi. Alle prese con il dilemma del narratore onnisciente – la voce impersonale che, nel romanzo ottocentesco, conosce ogni dettaglio della trama e scruta ogni pensiero dei personaggi –, il romanziere moderno le prova tutte, ma poi capisce che non c’è scampo: all’onniscienza occorre assoggettarsi, sia pure con i dovuti aggiornamenti . La soluzione più interessante è senza dubbio quella escogitata da Joseph Conrad, che nelle sue opere più celebrate ( Lord Jim e Cuore di tenebra, nella fattispecie) assegna al lupo di mare Marlow il compito di raccontare per intero la vicenda. Inverosimile? Magari sì, ma efficace, come ammetteva perfino il grande Henry James a proposito di Il caso , il libro che nel 1913 portò all’ormai maturo Conrad (1857-1924) il primo autentico successo di pubblico e di critica. E sì che l’intreccio qui è particolarmente complicato, dato che Marlow è solo in parte testimone diretto della vicenda, che per il resto viene ricostruita attraverso i resoconti di altri comprimari. In questo modo, annota ancora James, prima di arrivare al lettore le notizie devono «passare simultaneamente come secchi d’acqua per l’estinzione improvvisata di un incendio». Però arrivano. E l’incendio si spegne.
Già noto nel nostro Paese con il titolo fin troppo melodrammatico di Destino, Il caso (Chance nell’originale) viene ora proposto da Adelphi nella versione di Richard Ambrosini e in una congiuntura decisamente propizia. All’origine delle sventure della protagonista, la sfuggente e proprio per questo irresistibile Flora, c’è infatti il clamoroso rovescio da cui è stato travolto il padre, l’autoproclamatosi finanziere de Barral. Uomo di modeste condizioni, ma favorito da un cognome altisonante oltre che da un innato talento di propagandista. Assecondando la smania degli investitori per il risparmio ad altissimo rendimento garantito, ha accumulato una fortuna di dimensioni spropositate, che gli si è dissolta tra le mani.
«Egli era semplicemente un segno, un portento. In lui non c’era nulla», commenta Conrad per bocca del solito Marlow, scolpendo una definizione che si addice ai Madoff di ogni tempo e nazione. La psicologia di de Barral, del resto, non costituisce solo l’antefatto del romanzo, la cui parte finale è tutta dominata dal rancore dell’affarista appena scarcerato. Flora, nel frattempo, ha ceduto all’insistenza del capitano Anthony, un taciturno lupo di mare che. a sua volta, porta su di sé l’eredità di un padre ingombrante: un poeta tanto sentimentale nei versi quanto arido e addirittura spietato fra le mura di casa. Pur non amandolo, Flora sposa dunque Anthony, che invece scorge nell’infelicità della ragazza «un arabesco di nebbia » per il quale sconvolge una vita altrimenti quieta e riservata. Così sistemati i pezzi sulla scacchiera, la partita si svolge in modo imprevedibile e a tratti crudele, coinvolgendo il giovane Powell, divenuto «per caso » secondo ufficiale della nave comandata da Anthony. Incontri fortuiti e avvenimenti occasionali si susseguono lungo il romanzo, dando luogo a una riflessione sull’orizzonte provvidenziale contro il quale si stagliano le sorti degli uomini. Parlare del Caso, avverte Marlow in chiusura, non significa necessariamente essere pagani. E per Conrad il buon Marlow è uno che sa tutto. Ma proprio tutto.